lunedì 16 luglio 2012

Piccole buone notizie

Con l’assemblea nazionale del PD si chiude un breve ciclo evolutivo del dibattito pubblico sul matrimonio civile tra persone dello stesso sesso in Italia. Ciclo partito con la presentazione della proposta di legge di iniziativa popolare “Una volta per tutti” (Zan & C.) e concluso proprio con la formalizzazione in sede assembleare del documento sui diritti del PD che, nella sostanza, ripropone una istituzione simile ai DICO. In realtà tutto nasce dalle dichiarazioni ravvicinate di Hollande e Obama, che seguono quelle di Blair e Cameron, così nettamente a favore del diritto al matrimonio civile – proprio in periodo pre-elettorale – da non lasciar spazio ad alcuna ambiguità. Le buone notizie che questo ciclo porta con se sono due: la prima è che finalmente nei partiti della sinistra ci si confronta (o almeno ci si prova….) per assumere posizioni concrete, a beneficio di chi vuole valutare i fatti e non solo le parole. Questa accelerazione di prese di posizione è, ovviamente, di natura elettorale, ma penso che si tratti di un fenomeno positivo, visto che per una volta il confronto è su scelte di merito e non solo di schieramento. Se poi si pensa al fatto che proprio questi ultimi due mesi, oltre a definire una posizione del PD (bella o brutta che sia) ha sciolto la riserva su cosa pensano sul matrimonio per le persone gay e lesbiche Di Pietro, Vendola e Grillo, direi che siamo di fronte a un risultato apprezzabile, perlomeno in termini di chiarezza del dibattito pubblico. La seconda piccola buona notizia è la nettezza del variegato mondo delle associazioni lgbt italiane nel dire NO ad ogni posizione che sia meno della piena uguaglianza: il riconoscimento delle unioni civili può integrare il diritto familiare ma non sostituire il matrimonio tra persone dello stesso sesso, nemmeno sul piano linguistico. Questa dura e praticamente unanime presa di posizione mi ha stupito molto, perché per anni il cosiddetto movimento si è gingillato su posizioni ambigue, senza mai scegliere (se non a livello personale o di singole associazioni) rincorrendo ipotesi di mediazione che avrebbero dovuto produrre il raggiungimento di obiettivi concreti. O peggio ancora, inserendo il diritto al matrimonio nei propri documenti congressuali, lasciandolo lì riposare in pace. Con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Spero che le tante realtà del movimento siano altrettanto consapevoli del valore di questa scelta, che prima che al contenuto deve saper guardare alla strategia: come ho sempre pensato e ripetuto, chiedere con fermezza l’estensione del matrimonio civile tout court non è solo giusto in sé ma è la migliore garanzia sulla legge che il Parlamento approverà. Solo in questo modo infatti, le forze politiche eserciteranno la loro funzione di mediazione con il Vaticano ed i suoi ventriloqui parlamentari, traendo il massimo, in termini di parità e uguaglianza sostanziale, per le famiglie composte da coppie dello stesso sesso. Quando nel 1980 al Congresso del Fuori! di Torino per la prima volta si parlò di matrimonio tra persone dello stesso sesso l’impatto con uno dei principali tabù della nostra società fu tale che lo stesso Congresso non riuscì ad andar oltre l’approvazione di un documento dove si chiedeva il riconoscimento delle convivenze. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti (io stesso ho cambiato idea solo all’inizio degli anni 90) ed i tempi sono senz’altro migliori per affrontare questo tema. Ma non bisogna essere troppo ottimisti, perché: di tatticismo si può morire: ell’attesa dei posizionamenti altrui si possono precostituiscono cordate che hanno obiettivo SOLO elettorali. Ecco perché questa ri.-trovata unità di intenti del movimento deve trovare immediatamente un obiettivo concreto: si arrivi a breve ad una proposta di iniziativa popolare secca per il riconoscimento del matrimonio, soprattutto come occasione per l’allargamento del consenso su questo tema (perché in Parlamento le proposte ci sono già, a partire da quella di Rita Bernardini presentata nel 2008); non siamo mai troppo liberali: se il presupposto storico culturale che tutti condividiamo è che le forme di famiglia si stanno moltiplicando, il legislatore deve trovare la forza di individuare forme di riconoscimento anche per queste altre forme che non presuppongono matrimonio, ad integrazione, non sostituzione, del diritto familiare. Anche su questo esiste una ottima base nel progetto di “Amore civile” già trasformato in proposta di legge. Ed è la migliore risposta liberale, ovvero rispettosa della libertà e dell’autodeterminazione delle persone, contro uno stato che condiziona le nostre vite e le nostre scelte; diffidare dai falsi amici: i peggiori nemici dei diritti e dei doveri delle famiglie composte da coppie dello stesso sesso non sono quelli che li negano. Sono quelli, e sono tanti, che con una smorfia tra il sarcastico e lo snob ripetono infaticabili che i problemi “veri” non sono questi, che siamo dei pazzi col disastro economico che abbiamo di fronte ad occuparci di queste cose di minoranza, ecc. ecc. Sono, ovviamente, gli stessi, che premettono sempre di avere amici gay, e di non avercela coi gay…. In realtà in nome di questo falso realismo sono decenni che le riforme in materia di diritti fondamentali in questo paese sono bloccate, che siamo tra i primi per cause di violazione dei diritti della persona davanti alle corti internazionali e che nemmeno siamo capaci a dire, con la semplice chiarezza dei tanti vituperati politici statunitensi, che i diritti delle persone lgbt sono diritti umani; tutto si tiene: Bruno Defilippis, l’autore del manuale “Certi diritti che le coppie conviventi non sanno di avere” e infaticabile promotore di proposte di riforma del diritto di famiglia, mi ha detto tempo fa che lui era convinto che il muro che tiene su norme antiquate e sbagliate può crollare, da un momento all’altro, aprendo un varco a tutte quelle riforme necessarie in questo campo. Io penso che la battaglia per il diritto al matrimonio civile sia proprio quel colpo, ben assestato, al muro che tiene su uno stato che si sostituisce al diritto degli individui. Un colpo profondo, perché nessuna delle iniziative di riforma del diritto di famiglia oggi necessarie va così in profondità nella critica al primato maschilista nella famiglia e nella società.

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